mercoledì 28 dicembre 2011

Il profumo del gigante buono

Per farsi un’idea di quel che sia il Lautaret basta vedere l’altimetria. Per immaginarsi il resto basta aver visto qualche volta il Tour. Un’autostrada immensa, lievemente pendente, che attraversa una valle più o meno verde a seconda dei capricci delle nuvole. Di certo oggi le nuvole andrebbero cercate a lungo, ma il verde è piuttosto vivo di un fieno ancora lontano dall’essere messo in cascina.

La giornata è splendida e per essere il mattino in una cittadina di montagna è fin troppo caldo. Attraversiamo le strade urbane di Briancon e le splende rotonde tutte curate nei minimi dettagli. Tanti riferimenti ciclistici, ma anche dello sci. Mi troverei bene, sportivamente parlando, in queste terre.

Con le brioches ancora nello stomaco, la lentezza dei primi km è senza dubbio ben accetta. La lunga autostrada del Lautaret è già iniziata, ed il pedaggio si paga in natura con la noia. Sarà infinito. Anche se, a dirla tutta, le montagne qui attorno sono proprio meravigliose... e questa immensa strada è un po’ meno immensa di quanto pensassi. Chiariamo: è si immensa, ma non c’è quel caos che involontariamente, da buon italiano, mi ero immaginato. Non ci sono clacson a scandire come un tango la scalata, ne motociclisti appena usciti da Misano. È tutto così tranquillo...

Così, fra uno sguardo lanciato intorno, due chiacchere e un paio di pensieri, la strada passa più velocemente di quanto pensassi. La pendenza è così dolce da non stancare, le gambe girano che è un piacere e metro dopo metro mi accorgo di non annoiarmi. Mi godo il lento avvicinarsi di quote più ambite, la meravigliosa cornice delle alpi che sembrano tutte lì per me. E poi ecco anche arrivare quella leggera brezza di mattino e di alti prati, con quel suo profumo che soltanto chi l’ha sentito, almeno per una volta, può capire.

Mario, il capitano, ha praticamente scandito il passo per tutto questo primo tratto. Cerco di ricambiare con un paio di foto. Vengono male.
Le larghissime curve che precedono il Col de Lautaret arrivano quasi a sorpresa, ed allora inutile fare troppo foto: ci sbizzarriamo sul colle! Infatti ne facciamo diverse, chiamando ad unirsi anche un amico di Pistoia trovato durante la scalata.




Con altri 8 km si guadagna il Galibier, e non siamo certo qui per risparmiarsi. Il sole bacia i prati e la pelle appena lucida di sudore, mentre il vento d’alta quota si sveglia per acconpagnarci sino in vetta. La montagna, aspra ma benevola, ci protegge riparandoci un po’. E poi le scritte sull’asfalto parlano di una storia e di ruote impresse nella leggenda. Nell’aria ancora quel profumo e nel vento le voci parlano di mezza Europa che si ritrova e si unisce scalando un gigante buono.













È come magia, e nella magia mi lascio trasportare. Fianco a fianco col capitano, maestro di bici e di emozioni da imparare a cogliere pedalando, raggiungiamo il minuscolo spazio in vetta. Non c’è niente, ma c’è tutto per chi sa leggere istanti e sensazioni svincolate dal tempo e dallo spazio.








Ancora io e il capitano, mai stanchi di salite, decidiamo allora di scendere dalla parte opposta, di arrivare fino al Telegraphe e poi di ritornare indietro scalando così pure l’altro versante di questo dolcissimo gigante buono.
In discesa mi diverto parecchio nonostante il traffico, ma senza mai andare troppo oltre. In fondo alla discesa, a Valloire, riponiamo gli smanicati nell’ammiraglia personale a nostro seguito, guidata da Maurizio e Mariolino. E iniziamo il Telegraphe, per marcare visita ad un altro colle. Per non aver rimpianti.



Con ancora negli occhi il Galibier, ci sembra tutto monotono e terribilmente breve. In un attimo siamo in cima e pronti a ridiscendere verso Valliore.
E poi via, di nuovo in marcia verso gli over 2600 metri.
I primi km sono un lunghissimo, assolato, caldissimo e impegnativo rettilineo. Si susseguono case e casette, e sullo sfondo c’è la nostra vetta ad attenderci. Mario è un po’ in crisi, mi dice “vai!”, ma dove vado? Lo aspetto, non è una gara e la compagnia fa sempre bene per superare alcuni momenti. I rettilinei del resto finiranno prima o poi, e quando lo faranno non sarà altro che un piacere.















Inizio a star male anche io a dir la verità: una strana nausea. Chiedo un po’ di coca all’ammiraglia e tutto passa. Passa anche quel maledetto rettilineo e siamo nel cuore della salita. Ritorna il profumo di prati, la quiete della montagna e i suoi occhi invsibili su di noi, e la bellissima sensazione di essere niente in quel mare di rocce, erba, neve e cielo. Soltanto viaggiatori fortunati.












È pure caldo, ed a queste quote è un piacere. Ci godiamo tutto, e le foto a valanghe sono il tentativo di colmare i buchi della memoria che il tempo scaverà. Ma non nelle emozioni. Una salita magnifica, spettacolare e imperdibile. Esigente ed accogliente, non deve assolutamente mancare nel palmares di chiunque sappia amare questo sport.

Nella stretta di mani, poi alzate verso il cielo negli ultimi metri di una scalata memorabile, c’è tutto di quanto il ciclismo possa insegnare. E far vivere.




Il cielo è ancora perfetto, il profumo ancora intenso e il vento ancora vivo. Si può chiedere altro?
Di certo sappiamo che che quell’autostrada di montagna ci aspetta con i favori della gravità e con le noie di un assicurato vento contrario. Sarà bello anche quello però. Oggi sono in grado di non odiare il vento contro. Oggi è una favola, il resto non conta. Vorrei solo continuare a guardare tutto da quassù...

domenica 18 dicembre 2011

E fuori c'è il sole...

Per tutta la notte ho immaginato una mattinata di sole, di quelle che, nonostante il freddo pungente, riempie di sensazioni e piacere di pedalare. Con alle spalle la prima settimana di preparazione in vista della prossima stagione, le motivazioni alle stelle, questa domenica doveva essere la prima in cui tornare e far un po' di fatica per qualche salita della zona, in compagnia della squadra.







Ma che poi questa mattina sia di un grigiore squallido e fredda come il vento che l'ha portato, poco importa. Nelle gambe ancora le 4 ore di ieri, ma non stanchezza, solo la sensazione di aver lavorato bene.


E così il pomeriggio di ieri, con i miei genitori fuori casa e un esame andato bene appena il giorno prima, mi sono messo a fare dei lavoretti da niente, tanto per prendermi un fine settimana lontano dai pensieri dei libri e per rimettere in ordine un giardino e un orto messi a dura prova dalla burrasca di venerdì sera.






Le foglie sono tutte negli angoli, e anche se i ciuffi d'erba ribelli più alti degli altri sono davvero pochi, prendo il tagliaerba per fare prima e meglio.


Non parte. Pulisco il filtro dell'aria, ma nulla. Allora cambio la candela e finalmente parte.






Sono quasi alla fine, manca solo un piccolo pezzo attorno ai bulbi ch ho piantato l'inverno scorso. L'altezza del taglio deve essere regolata però abbassata.






Ed è qui, dove l'esperienza, la confidenza e la tranquillità entrano in azione. So bene dove la lama gira e dove non, è solo routine. Ma per un motivo per il quale ancora non mi so dare risposta, invece che mettere la mano sulla parte iniziale della macchinetta...


Mi chiedo cosa sia stato quel rumore a metà fra il sordo e il metallico. Un istante dopo mi rendo conto che sono i miei diti.






Ed è una corsa di sangue verso il rubinetto del garage, un crescente senso di svenimento che caccio via con la sola forza della ragione. Trovo la forza di guardare, e vedo la prima falange del dito medio rimasta attaccata soltanto per un piccolo lembo di pelle. Il polpastrello dell'anulare inesistente. La paura inizia a pervadermi, ma non è il caso di rimanere vittima di se stessi, adesso.






La benedizione del telefono in tasca, del migliore amico dopo pochi minuti davanti casa. Il pronto soccorso, e un intervento con 4 medici solo per me, per metà al lavoro sulla mia mano e per l'altra scherzando con me. Dicono che non perderò quel pezzo, che fra un po' ritornerò come prima, Fra un po'.






Per ora però, fra il dolore fortissimo che rimane di una giornata che non dimenticherò a lungo, e l'insonnia che tanta compagnia mi ha fatto per tutta la notte, riesco solo a pensare a cosa poteva essere questa giornata e le prossime decine senza una distrazione così stupida.






Guardo fuori dalla finestra, sogno di essere là davanti al gruppo a battagliare. Ignoro la chitarra elettrica di fianco a me che non so se mai potrò suonare come prima. E nonostante il grigiore di un inverno appena arrivato, riesco soltanto a immaginarmi una mattinata di sole. Una come tante.