La mattina è umida e stranamente calda per
essere il primo Maggio. È una di quelle mattine in cui già dalla prima
pedalata capisco che avrò da soffrire parecchio, ma l'obbiettivo è
troppo forte nella mente per essere abbandonato alla controvoglia delle gambe.
Il Monte Pidocchina è una di quelle mete che guardo da tempo sulla
cartina. Anni. Rimando dopo rimando, sono giunto a questo primo Maggio,
di certo non di festa per le mie gambe. Cerco di rilassarmi raggiungendo
Montecatini, dove attacco la prima asperità di Vico: 2,5 km giusto per
scaldarsi. Poi breve discesa e poi la sempre temibile salita di Avaglio.
I dubbi sulla condizione vengono fugati inappelabilmente qui, e la
sentenza dice che oggi non è affatto giornata. C'è qualcosa che non va.
Probabilmente un'influenza senza febbre che si manifesta solo
subdolamente.
Il bello, si fa per dire, di queste giornate è il
“giochino dei rapporti”, come a me piace chiamarlo. So bene che dopo
poco l'inizio della salita sarò già a corto di rapporti, e inizia quella
micidiale partita (che il ciclista perde sempre!) contro la bici, in
cui tenersi un “dente” di riserva non porta mai ai risultati sperati... e
alla fine manca sempre!
Conosco la salita, e la domo con
l'esperienza. Poi il falsopiano di Prunetta, la discesa verso la valle
del Reno, ed infine l'arrivo a Pracchia. Qui ha inizio il Monte
Pidocchina, una salita di 7 km con pendenza media che sfiora il 10%. In
cima, sono quasi 1300 m sul livello del mare.
L'avvio è subito
tosto, e l'asfalto umido, sporco ed estremamente rovinato non aiutano.
Inizia poi una serie di rettilenei spaccagambe, dove il garmin raramente
segna una pendenza a singola cifra. Evito di guardare la velocità, per
non deprimermi. Le spalle fanno un balletto brutto a vedersi, come se
poi aiutassero un po'... macché! Per fortuna, via via il paesaggio
spunta fra la vegetazione, così come quell'inebriante odore di resina
che per me è quasi una droga. Vuol dire montagna, vuol dire solitudine,
vuol dire riempirsi i polmoni di purezza e i sensi di tranquillità.
Per fortuna la cima arriva, e la mia maschera di sudore accenna una risata: è fatta!
Qualche foto, e poi la discesa a passo dìuomo viste le condizioni.
E poi, per tornare al masochismo degli scalatori, invece che tornare
diretti verso casa... altre salite! Prima il Passo dell'Oppio, poi le
Rampe di Casa di Monte. E poi a casa! 146 km, 2600 e passa metri di
dislivello, un mal di gambe da morire e tanta soddisfazione! Viva la
bici... e la salita!
Le foto: https://picasaweb.google.com/101162847257443478317/MontePidocchina?authuser=0&feat=directlink