martedì 30 agosto 2011

Dove le pietre galleggiano nel cielo

Menomale che la colazione si avvicina di più ai nostri gusti e alle nostre abitudini. Piccoli lussi di fragranti sfogliatine, forse anche congelate, ma buone.
Gonfiaggio delle ruote, ma non per me, lo farò i prossimi giorni. C’è anche un po’ di emozione che vaga dispersa da un angolo all’altro: stiamo cominciando. Le strade ci accolgono con semafori rossi al punto giusto, tanto da frazionare il plotoncino. Ci separiamo e quasi perdiamo.
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Solo all’uscita di Carpentras ci ritroviamo. Il Landa si piazza davanti e lo farà fino a Bedoin, dove inizia la scalata. Passo regolare e tranquillo fra vigne basse, terre rosse e sole che fa capire quanto caldo possa fare quando lo vuole.
Un po’ d’indecisione a un’altra rotonda, ma dopo un’inversione ad u riprendiamo la strada giusta. Senza bisogno di cartelli, per capirlo basta vedere quanta gente c’è. Una processione.

I “Where are you from?” si sprecherebbero, e saltiamo da un gruppo all’altro salutando in modo differente. Non sappiamo che lingua usare, e forse il motivo è semplicemente che parliamo tutti la stessa. Variano soltanto gli accenti, si riuniscono in dialetti. C’è pace e tranquillità, e le pendenze sono veramente rilassanti. Solo un riscaldamento però, perché dopo un tornante si inizia a far sul serio.
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C’è molto più bosco di quanto immaginassi, e rettilinei più lunghi di quanto credessi. È dura. Ovviamente sono a regime lentissimo, inutile staccare i miei amici. Me la godo. Mi piace.
La luce inizia a giocare meno a nascondino, e si decide a uscire dagli alberi con più intensità. Si aprono visuali e appare pure lui, il gigante, fra le conifere spennacchiate.
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Ancora su, e ancora una processione colorata verso il proprio santuario. Si vede di tutto. In molti non prenderanno la bici più di 5 volte l’anno, penso. Ragazze soprappeso, bimbi strappati allo schermo di un pc, mamme private della confusione di un mercato. Vicini a scoppiare, ma felici e sorridenti. La ricetta per conquistare la vetta passa anche da soste più o meno lunghe. L’importante è arrivare.

Sono affascinato. Sono, su un santuario, ed è Mario che me lo suggerisce.
E poi il rispetto del ciclista, incredibile. Cartelli che indicano alle auto a quanta distanza tenersi dalle bici durante il sorpasso. Una corsia riservata alle bici per la scalata. Nessun clacson che suona, poche moto che tuonano.
Un santuario o un paradiso?

Così, quando arriva Le Chalet Reynard, sembra tutto iniziato da poco. Anche i lunghi tratti al 9% sono come un fastidio dimenticato per una gioia più forte.
Ultimi 6 km, ed iniziano i sassi. Prima in compagnia di qualche pioniero vegetale, poi nella solitudine di una infinita distesa. Sembra un deserto, eppure quanta vita passa per questo nastro d’asfalto?
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Pietre che galleggiano nel cielo, e noi come in un mare di silenzio. Sono le emozioni a parlare. Fra fotografi che rincorrono per il loro biglietto, facce viola per lo sforzo, una brezza dolce che si inizia a levare, la vetta è sempre più vicina. Quando arriva, l’accoglienza è degna della Grand Boucle, con un nutrito gruppo di inglesi a far baccano quanto solo i mediterranei, da reputazione, ne sarebbero in grado.
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Foto che non mancano e soddisfazioni incalcolabili. Io e Mario abbiamo già capito che in questi giorni ci sarà da divertirsi.
La temperatura non più di tanto frasca, il cielo sgombro da nubi e un vento più che accettabile, ci fanno vestire molto poco per la discesa. Nei pressi di Bedoin ci fermiamo per il pic-nic, all’ombra di una lecceta. Come sempre mangiamo più del dovuto,e i km restanti per Carpentras sono più una lotta con l’apparato digerente che contro il vento contrario.
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Doccia velocissima, che c’è da liberare le stanze. E poi via verso Briançon, passando su strade interne. Viaggio lunghissimo ed infinito, più stancante del Ventoux, che rimane lì negli occhi, galleggiando fra paragoni che tento di fare inutilmente. Soltanto una salita e una storia a se. Si può anche voltare pagina, domani ne scriveremo un’altra.


-->Carpentras-Bedoin-Mont Ventoux-Carpentras, 81 km

1) Il viaggio, l'arrivo, il furto

In bianco e nero, l’autostrada è solo un’istantanea che dimenticheremo in fretta. Parole e filosofie fra i viadotti e i tunnel della Liguria. Quanta noia.
Ecco, un posto dove non abiterei mai. Ci sono i monti, certo. C’è il mare, bellissimo. Ma l’abbraccio morbido delle mie terre che corrono ordinate verso il blu del tirreno non lo cambierei mai. Pianure mai troppo infinite, colline sempre curiose oltre la porta della foschia, montagne sul limite fra il vicino e il lontano, e mare di scogli e sassi da scegliere in base alla voglia.
La Toscana mi è dentro, nel cuore. Non ne uscirà mai.
Posso soltanto io, come adesso, uscire. Prima dalla mia terra, poi dalla mia nazione. Per ogni metro di suolo identico al successivo e diversissimo da quello un po’ più lontano, sono solo cartelli diversi a indicarmi che siamo in Francia.

Mario guida tranquillo, al comando dell’ultimo vagone del piccolo trenino partito da Prato alle 6 del mattino. In testa c’è il Taglia, Oscar 2011 per il rispetto del codice della strada. Nemmeno la totale assenza di autovelox sulle strade francesi lo spinge a spingere. Regolare.

Il pranzo è un’iniziazione al rito che ripeteremo per i prossimi giorni: zaini che si vuotano e stomaci che si riempiono. “O di paglia o di fieno, il corpo l’è pieno”, dice il Landini. Un caffé espresso che ha poco di Italiano scende giù nel corpo, con poco piacere e molta ustione, e non si può far altro che ripartire.

Lunga, lunghissima la strada verso Carpentras, o forse è solo la noia di arrivare. Do il cambio alla giuda a Mario, e nella cittadina poco lontana da Avignone compio una manovra da ritiro della patente sotto un semaforo. Qui non hanno nemmeno le telecamere, la mia tessera rosa può dirsi salva.
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La temperatura esterna è un colpo che ricade forte sul sistema immunitario, vista la frescura intensa all’interno dell’abitacolo. Un po’ di traduzioni alla reception e le valige in camera. Poi la spesa e la piscina. Il gigante può aspettare fino a domattina.
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Con la cena raffinata ancora sullo stomaco, e l’aria condizionata inarrestabile che arriva sul collo, il risveglio non può certo definirsi idilliaco. Ci ricorderemo a lungo di quanto le nostre membra stanno tentando di digerire. E pure le tasche, visto quanto costa una sola bottiglia di vino della casa. Ladri dalla parlata romantica.

venerdì 12 agosto 2011

Risposta al sig. Severgnini. I luoghi comuni

 I luoghi comuni


Splendida mattinata. Il sole è poco oltre le colline, e dalla finestra vedo il mare. Lei dorme ancora, lì nel letto. Lo farà per almeno un’altra ora.
Mi dirigo verso il bagno. I vestiti sono già lì ad aspettarmi, e dopo i classici bisogni indossare la maglietta ed i pantaloncini aderenti è un attimo. Gli occhiali e poi il casco, mai farne a meno.
Pronto per scendere, non indosso le scarpette ma scelgo di tenerle in mano e scendo le due rampe di scale con ai piedi solo i calzini, la bici con l’altra mano. Scivolare per le scale con gli scarpini è un attimo. Avrei potuto tenere la bici nella cantina dell’hotel, se fosse stata chiusa. Ci fosse almeno l’ascensore, ma niente, bisogna rischiare la vita sul granito levigato degli scalini. Ancor prima di salire in sella.

Il vento quasi assente, cosa strana per una cittadina di mare anche se è solamente mattina, mi spinge a percorrere un po’ di lungo mare. Più tardi, forse, la salita.
Una, due piccole rotonde ed è già il tempo di una frenata poderosa. Dei ragazzi entrano nel circolo rotabile a tutta velocità, la radio altissima e i postumi di una serata da sballo ancora da smaltire. Ridono. Io sono salvo.

Ho bisogno di un caffè però. La colazione la farò al ritorno, ma un buon caffè mi serve: le ferie sono anche queste piccole concessioni. Io che di mestiere faccio il barista, un caffè servito è una piccola soddisfazione.
Vedo un benzinaio con bar annesso, e decido di fermarmi. Appoggio la bici al muro, mentre un signore un po’ anziano stà ucendo. Mi rivolge la parola, ma non per un buongiorno.
“Ti sei fermato a fare il pieno? Riempi la borraccia con la bbbomba?”
Il mio sorriso silenzioso serve solo per tacita compassione, e per non prolungare una conversazione mai iniziata e già troppo lunga. Luoghi comuni.

Forte del mio caffè, riparto. Al ritorno dovrò dare un’occhiata alle geometrie della bici, perché la schiena ogni tanto fa male. O forse sono solo i miei 50 anni.
Per fortuna l’aria fresca del mattino, lo stress lasciato in città e questa tranquilla pedalata mi rimettono al mondo.
Non fosse per i continui colpi di clacson alle mie spalle, sarebbe ancora meglio. Sono da solo, sulla destra, su una strada ampia. Evidentemente tutti pensano di avere un autotreno. Oppure, semplicemente, non sanno guidare la macchina. Ovviamente però il problema sono io, che lì non ci dovrei stare. Dovrei usare le piste ciclabili. Ci fossero...
Luoghi comuni.

Su per questa salita nuova ed improvvisata, il nome di un paesino mi ricorda il cognome di un amico. Rido ancora, stavolta solo per i ricordi che ritornano, pensando a quante volte mi abbia detto di essere troppo vecchio per iniziare ad andare in bici. In effetti 45 anni non sono pochi. Così come non lo sono un pacchetto e mezzo di Marlboro al giorno lasciate al mio passato. O l’abbandono del forte soprappeso. O la ritrovata serenità con me stesso, con mia moglie, con il mio corpo.
Ma per lui sono vecchio, e il fatto che stia tremendamente meglio non conta. Ha lui la verità in tasca, la spende come vuole.

Intanto le rampe si fanno dure, e il mio cuore cresce nel petto. L’asfalto mi guarda dritto negli occhi, ma ho ancora la forza per gettare il mio sguardo oltre il tornante, oltre i cespugli, verso il panorama. La fatica non annebbia niente, è solo un modo per corteggiare le piccole soddisfazioni. Come quella, nuova e antica, ma mai uguale, di raggiungere il colle. E pure oggi l’ho raggiunto. La vista si perde nei riflessi del mare e nelle braccia accoglienti dei colli a picco su esso, illuminati da un sole ancora fresco.

Foto con il cellulare, poi la metterò su face. Già vedo i commenti di chi mi vorrebbe seduto su una sdraio a godermi il mare al posto suo, mentre invece sto soltanto perdendo tempo per due stupide ruote.
Luoghi comuni.

Discesa bella, tecnica. Tento di osare in un paio di curve. La prima ok, la seconda meno. Meglio scendere con più calma allora.
C’è chi mi darebbe dell’incosciente, ma penso sia solo vita che ancor scorre nelle arterie non più intasate di colesterolo come un tempo.

Di nuovo sulla statale lungomare, faccio rientro verso l’albergo, in un traffico più generoso di clacson di variegate tonalità.
Salendo le scale verso la camera, di nuovo scalzo e con entrambe le mani occupate, il sapiente di turno incrociato per caso mi chiede:
“Ora una bella flebo come fanno al Tour??”.
E ride. E io pure, tanta è la compassione che mi fa.

Entro in camera silenziosamente. Lei si è appena svegliata.
“Una doccia e scendiamo per la colazione ok?”.
Prima la mia flebo però: un multivitaminico. C’è chi mi darebbe del dopato per questo. Ma mi ritengo soltanto affezionato alla salute. E rimpiango gli anni in cui non me ne curavo.

Una bella colazione, meritata, ma equilibrata. La piccola concessione di un pezzo di dolce in più. Sono le ferie anche per me.
E poi le tranquille chiacchere con i vicini di tavolo.

E poi il mare, ed il giornale da leggere sulla sdraio. Che pace, che vita.
L’attenzione cade su un articolo ben firmato, di un argomento a me caro. Va sempre a finire così. Un signore che si concede di parlare di cose che mai ha vissuto in prima persona. Un signore che giudica con la bilancia dei luoghi comuni.
Ma è così, si sa. Luoghi comuni.
Dispiace solo per gli ignari lettori, sprovvisti di conoscenza in materia al suo pari, che prenderanno quelle parole per verità.

Ed io non sono quel cinquantenne che descrive, ne sono certo. E la maggioranza come me.
Puramente fedele all’unico confronto possibile, quello con me stesso, mi sento solo migliore. Non è mai troppo tardi per una passione, per lo sport. Nella maniera giusta.

E le ortensie le lascio a lui. E pure la passeggiata con un libro, magari proprio di ciclismo. La volta buona che, forse, qualcosa in materia imparerà.

Infine, stanco di leggere, getto via il giornale. Un barista, di chiacchere da bar, ne sente già a sufficienza senza comprare un’autorevole giornale. È arrivata l’ora del bagno. Sono le ferie anche per me.