venerdì 12 agosto 2011

Risposta al sig. Severgnini. I luoghi comuni

 I luoghi comuni


Splendida mattinata. Il sole è poco oltre le colline, e dalla finestra vedo il mare. Lei dorme ancora, lì nel letto. Lo farà per almeno un’altra ora.
Mi dirigo verso il bagno. I vestiti sono già lì ad aspettarmi, e dopo i classici bisogni indossare la maglietta ed i pantaloncini aderenti è un attimo. Gli occhiali e poi il casco, mai farne a meno.
Pronto per scendere, non indosso le scarpette ma scelgo di tenerle in mano e scendo le due rampe di scale con ai piedi solo i calzini, la bici con l’altra mano. Scivolare per le scale con gli scarpini è un attimo. Avrei potuto tenere la bici nella cantina dell’hotel, se fosse stata chiusa. Ci fosse almeno l’ascensore, ma niente, bisogna rischiare la vita sul granito levigato degli scalini. Ancor prima di salire in sella.

Il vento quasi assente, cosa strana per una cittadina di mare anche se è solamente mattina, mi spinge a percorrere un po’ di lungo mare. Più tardi, forse, la salita.
Una, due piccole rotonde ed è già il tempo di una frenata poderosa. Dei ragazzi entrano nel circolo rotabile a tutta velocità, la radio altissima e i postumi di una serata da sballo ancora da smaltire. Ridono. Io sono salvo.

Ho bisogno di un caffè però. La colazione la farò al ritorno, ma un buon caffè mi serve: le ferie sono anche queste piccole concessioni. Io che di mestiere faccio il barista, un caffè servito è una piccola soddisfazione.
Vedo un benzinaio con bar annesso, e decido di fermarmi. Appoggio la bici al muro, mentre un signore un po’ anziano stà ucendo. Mi rivolge la parola, ma non per un buongiorno.
“Ti sei fermato a fare il pieno? Riempi la borraccia con la bbbomba?”
Il mio sorriso silenzioso serve solo per tacita compassione, e per non prolungare una conversazione mai iniziata e già troppo lunga. Luoghi comuni.

Forte del mio caffè, riparto. Al ritorno dovrò dare un’occhiata alle geometrie della bici, perché la schiena ogni tanto fa male. O forse sono solo i miei 50 anni.
Per fortuna l’aria fresca del mattino, lo stress lasciato in città e questa tranquilla pedalata mi rimettono al mondo.
Non fosse per i continui colpi di clacson alle mie spalle, sarebbe ancora meglio. Sono da solo, sulla destra, su una strada ampia. Evidentemente tutti pensano di avere un autotreno. Oppure, semplicemente, non sanno guidare la macchina. Ovviamente però il problema sono io, che lì non ci dovrei stare. Dovrei usare le piste ciclabili. Ci fossero...
Luoghi comuni.

Su per questa salita nuova ed improvvisata, il nome di un paesino mi ricorda il cognome di un amico. Rido ancora, stavolta solo per i ricordi che ritornano, pensando a quante volte mi abbia detto di essere troppo vecchio per iniziare ad andare in bici. In effetti 45 anni non sono pochi. Così come non lo sono un pacchetto e mezzo di Marlboro al giorno lasciate al mio passato. O l’abbandono del forte soprappeso. O la ritrovata serenità con me stesso, con mia moglie, con il mio corpo.
Ma per lui sono vecchio, e il fatto che stia tremendamente meglio non conta. Ha lui la verità in tasca, la spende come vuole.

Intanto le rampe si fanno dure, e il mio cuore cresce nel petto. L’asfalto mi guarda dritto negli occhi, ma ho ancora la forza per gettare il mio sguardo oltre il tornante, oltre i cespugli, verso il panorama. La fatica non annebbia niente, è solo un modo per corteggiare le piccole soddisfazioni. Come quella, nuova e antica, ma mai uguale, di raggiungere il colle. E pure oggi l’ho raggiunto. La vista si perde nei riflessi del mare e nelle braccia accoglienti dei colli a picco su esso, illuminati da un sole ancora fresco.

Foto con il cellulare, poi la metterò su face. Già vedo i commenti di chi mi vorrebbe seduto su una sdraio a godermi il mare al posto suo, mentre invece sto soltanto perdendo tempo per due stupide ruote.
Luoghi comuni.

Discesa bella, tecnica. Tento di osare in un paio di curve. La prima ok, la seconda meno. Meglio scendere con più calma allora.
C’è chi mi darebbe dell’incosciente, ma penso sia solo vita che ancor scorre nelle arterie non più intasate di colesterolo come un tempo.

Di nuovo sulla statale lungomare, faccio rientro verso l’albergo, in un traffico più generoso di clacson di variegate tonalità.
Salendo le scale verso la camera, di nuovo scalzo e con entrambe le mani occupate, il sapiente di turno incrociato per caso mi chiede:
“Ora una bella flebo come fanno al Tour??”.
E ride. E io pure, tanta è la compassione che mi fa.

Entro in camera silenziosamente. Lei si è appena svegliata.
“Una doccia e scendiamo per la colazione ok?”.
Prima la mia flebo però: un multivitaminico. C’è chi mi darebbe del dopato per questo. Ma mi ritengo soltanto affezionato alla salute. E rimpiango gli anni in cui non me ne curavo.

Una bella colazione, meritata, ma equilibrata. La piccola concessione di un pezzo di dolce in più. Sono le ferie anche per me.
E poi le tranquille chiacchere con i vicini di tavolo.

E poi il mare, ed il giornale da leggere sulla sdraio. Che pace, che vita.
L’attenzione cade su un articolo ben firmato, di un argomento a me caro. Va sempre a finire così. Un signore che si concede di parlare di cose che mai ha vissuto in prima persona. Un signore che giudica con la bilancia dei luoghi comuni.
Ma è così, si sa. Luoghi comuni.
Dispiace solo per gli ignari lettori, sprovvisti di conoscenza in materia al suo pari, che prenderanno quelle parole per verità.

Ed io non sono quel cinquantenne che descrive, ne sono certo. E la maggioranza come me.
Puramente fedele all’unico confronto possibile, quello con me stesso, mi sento solo migliore. Non è mai troppo tardi per una passione, per lo sport. Nella maniera giusta.

E le ortensie le lascio a lui. E pure la passeggiata con un libro, magari proprio di ciclismo. La volta buona che, forse, qualcosa in materia imparerà.

Infine, stanco di leggere, getto via il giornale. Un barista, di chiacchere da bar, ne sente già a sufficienza senza comprare un’autorevole giornale. È arrivata l’ora del bagno. Sono le ferie anche per me.

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