sabato 15 ottobre 2011

Una storia di 20 minuti

Si si, lo so che c'è un discorso lasciato a mezzo da finire. Purtroppo però i racconti dalla terra di Francia hanno avuto la sfortuna di dover essere scritti in un periodo non proprio felice. E sono passati, ormamai chiusi dentro il calderone dei ricordi e, soprattutto, delle emozioni. Impegnandomi a chiudere questa faccenda, pur consapevole della difficilissima possibilità di rispettare questa mezza promessa, cambio subito discorso perchè quello di cui vorrei parlare c'incastra poco o nulla con la Francia.

L'unico legame che c'è è un grandissimo ritardo. Mi spiego. Una volta tornato dalla Francia avrei dovuto avere tutte le carte in regola per entrare nel periodo di condizione più importante della mia piccola e ridicola (almeno fanno rima) carriera sportiva. E in effetti è stato proprio così: che gamba che avevo! Il problema, però, non era nelle gambe ma nella parte alta del corpo, riportata nell'italica campagna non proprio integralmente.

Smaltiti i postumi della caduta, o perlomeno quelli maggiori, sono rimontato in sella dopo uno stop di oltre due settimane, quasi tre, in occasione del Giro cicloturistico della Toscana 170 km fra colline dolci e violente follie testate sul mio povero e incolpevole corpo. Ma è andata bene, con un finale chiuso in netto crescendo dopo una mezza crisi portata avanti per più di due ore.

I km hanno ripreso a scorrere sotto le ruote con la solita cadenza, e la normalità era di nuovo cosa per me.

Piccola parentesi: la corsa. Nonostante mille precauzioni, calma, costanza e tutto quello che volete, sono arrivato alla conclusione che il running non è una cosa per me. Quanti dolori! Tendini, menischi e quant'altro possibile all'occorrenza! Che gran rottura! E vista l'impossibilità (ancora) di preparare come si deve quella che doveva essere la mia prima mezzamaratona, ho deciso di puntare tutto sulla bici e di riprendermi quella condizone indebitamente sottratta da quella malaugurata caduta nella discesa del Col du Granon.

E rieccomi sulla bici, senza gare da centrare nel mirino, ma con l'unica grande volontà di battere un record da me fatto. Un muro mai ceduto sotto i colpi delle mie gambe. Un sogno trascinato e affinato negli anni, quando al suo compimento bastava sempre meno e sempre più appariva impossibile da raggiungere. Tutto questo ha un nome, o anzi due, insomma, tutto questo è il record sulla mia salita test: il Monte Serra. Un tratto di poco più di 6 km, 470 metri di dislivello, punti precisissimi dove accendere e spengere il cronometro. Una storia di tempi sempre più bassi negli anni, fino ad arrivare attorno ai 20'30".

Quanto tempo attorno a quel tempo! Non che i miei allenamenti siano mai stati mirati a migliorare in tal senso, ma un appiattimento delle prestazioni in salita stava cominciando proprio ad innervosirmi, a fronte di sensibili passi in avanti nel passo in pianura.

Dieci giorni fa, consapevole di aver ripreso quel tono e quella forma minima per sperare di combinare qualcosa di buono, tento l'assalto al tempo. Con me c'è mio cugino, che si rivelerà un portafortuna. Siccome però la fortuna non esiste, mi correggo e dico che mio cugino si rivelerà un accompagnatore piuttosto in gamba.

Faccio partire il tempo e come sempre entro nel mio mondo fatto di pensieri e canzoni in loop. Deboli anestetici di una fatica mai troppo semplice da descrivere. Il tempo che resisteva ormai da un anno era 20'20".
Come sempre non voglio nemmeno vedere il contakm, che lascio a casa, e a tenere il tempo è il cronometro del cardio (senza fascia). Scelgo di guardarlo quando alla fine della prova mancano appena poche centinaia di metri, e mi accorgo che il tempo è buono per stabilire un nuovo record! Via ad un fuorisoglia di dimensioni apocalittiche, di quelli che tolgono il snetimento. Ma ne vale la pena: 20'12". Ben 12" in meno! Ottimo, ma...

... ma sento che la condizione non è al top, che potrei comunque fare meglio. Quindi a distanza di una settimana ci riprovo. È ancora mercoledì e con me c'è sempre Ale. Faccio partire il tempo e sono di nuovo in quella realtà parallela. Peccato non sia Lost, con la mia bella Kate ad aspettarmi in cima! Sogni, solo sogni nati da acido lattico che pian piano invade gli spazi intracellulari. A metà salita mi accorgo che al posto del mio solito 23, stò tirando il 21 con le stesse rpm. Buono.

Quando arriva quindi il "belvedere" (che non è Kate, purtroppo, ma un punto roccioso panoramico) guardo il tempo e... ho già messo un dente in meno. A tutta, deve essere la volta buona! Le gambe si stringono in una morsa che si fa sempre più incandescente e quindi insopportabile, mentre i metri si riducono poco a poco. Meno 100, meno 50, meno che ci siamo quasi.... stop! 19'42"!

La cronaca di un capriccio di uno scemo? No, un sogno gratuito fatto ormai anni fa. Quando i miei tempi migliori navigavano attorno a 25 minuti, ebbi la voglia e avvertii la sensazione di poter, un giorno, fare un tempo sotto i 20'. E a 11 anni di distanza quel piccolo bambino astemio di bici, portato per la prima volta in bici da corsa sul Monte Serra e che da Buti fino ai Cristalli impiegò 50 minuti, può dirsi diventato quasi un uomo. Quasi, perchè la voglia di giocare con le salite e con i cronometri non è ancora finita; altri limiti sono là davanti. Stò arrivando. 

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