martedì 29 maggio 2012

C’erano una volta gli attacchi da lontano... Riflessioni sull'influenza degli allenamenti sul modo di correre

Ce li ricordiamo piegati su quelle bici così geometriche, il fiato a scandire ogni colpo di pedale, lo sguardo lanciato già oltre il tornante successivo. Un attimo a sedere, e poi di nuovo in piedi. La voglia di stupire portata in giro come una valigia leggera come il volo di un falco sopra le vette. La grinta nascosta in gola, e all’improvviso straripante fra i denti. Lucidi di sudore, grondanti di fatica, con quelle gocce silenziose a scrivere sull’asfalto la traettoria incerta dell’ennesima sfida alla gravità.
C’erano una volta gli attacchi da lontano. C’erano una volta gli scatti.

Facile cadere nelle provocazioni delle farmacie che han chiuso i battenti, delle fatiche faraoniche, dei riposi sempre più brevi e del livello sempre più alto. Facilissimo dire che il ciclismo non è più quello di una volta, anche se questo è vero.
Il Giro d’Italia è già alle spalle, e a malincuore siamo costretti ad ammettere che non ci mancherà molto. Stanchi del solito e noioso copione riproposto ogni giorno dagli stessi attori. Stesse frasi. Medesima mimica. Stessa paura di improvvisare. Di caratteristi neanche l’ombra. O forse si, in quell’ammiraglia così vistosa di giallo fluorescente, e così rumorosa per quell’animo tutto cuore di Luca Scinto?

Già, il cuore. Quel cuore a dare i tempi i dell’attacco, o le emozioni da convertire in fatiche, o a generare quella grinta che copre ogni paura, soprattutto quella di perdere. E là rimaneva solo la voglia di vincere, di sbancare la corsa, di stupire. Quel cuore sembra essersi perso per strada, forse insieme al sudore versato fra un tornante e l’altro. Eppure il cuore del ciclista c’è ancora, si è solo trasformato. Prima in un numero a tre cifre da leggere sul munubrio, per capire quanto ancora ne rimaneva. E poi ridimensionato, lasciando spazio alla forza della fisica applicata: benvenuti ai Watt.

Quanto siano cambiate le metodologie d’allenamento nel mondo del ciclismo lo sanno solo gli addetti ai lavori, ma è proprio verso questa nuova scienza che vorrei indirizzare per un attimo la riflessione. Se l’allenamento è alla base della prestazione, è sensato ipotizzare la diretta influenza delle metodologie d’allenamento sull’impostazione delle gare degli atleti di oggi. L’ingresso del Powermeter, il misuratore di potenza, nel mondo delle due ruote ha letteralmente rivoluzionato gran parte della letteratura sul tema. Accertati i limiti ed i punti deboli dell’allenamento mediante cardiofrequenzimetrio si è investito molto sulla ricerca di una metodologia più sicura e dai risultati migliori: la potenza. Non è stato difficile ottenere già da subito ottimi risultati sugli atleti su cui le nuove tecniche sono state testate.

La grande differenza fra il cardiofrequenzimetro e il misuratore di potenza è che il primo è quanto mai sensibile alla variabilità quotidiana della frequenza cardiaca, influenzata da un numero di variabili estremamente ampio (temperatura, umidità, condizioni di salute, stress, ecc). Inoltre, con il cuore è praticamente impossibile allenare empiricamente gli sforzi di brevi durata, vista la risposta non istantanea dell’organo alla fatica. Infatti, con il cardiofrequenzimetro non si fa altro che misurare la risposta del corpo alla fatica, mentre con il misuratore di potenza si misura direttamente la potenza impressa sui pedali dall’atleta. Un altro mondo, in pratica. E nuove frontiere.
Così, tutto si è trasformato in numeri, in grafici, in fisica e matematica. Ad ogni livello di potenza corrisponde un tempo limite in cui poterla applicare. Ogni sprint è un wattaggio sempre più alto da raggiungere. Con “CP20” ad esempio si indica la potenza critica (Critical Power) che si riesce ad erogare per 20 minuti. E poi una serie interminabile di dati e statistiche indicate con le sigle più svariate.

Attraverso tutto questo, si allenano i ciclisti di oggi. Ed è qui che la riflessione vuole arrivare, perché se, come già detto, l’allenamento è alla base della prestazione, si può ipotizzare la diretta influenza (negativa) di queste metodologie d’allenamento sul modo di correre dei top rider di oggi. Tutto è quantificato in minuti e Watt. Ogni allenamento è una ripetizione rigida di numeri impostata sui propri limiti. Non c’è più spazio per studiare le proprie sensazioni, di provare ad ascoltare il cuore al posto dei numeri. C’è la paura, o forse la frustrazione, sicuramente lo smarrimento di quella sfida necessaria a vincere se stessi prima degli altri. Tutto rimane confinato fra due muri alti come i limiti che i numeri ti impongono, e che il cuore vorrebbe abbattere. Ma del cuore, ancora, rimane soltanto una cifra più piccola sullo schermo al centro del manubrio.

Ed è allora così facile rivedere mentalmente le immagini di una qualsiasi tappa di montagna dell’ultimo Giro. Perfetti su quelle bici addolcite nelle forme. Il fiato sussurrato da nascondere all’avversario. Lo sguardo a far la spola tra la strada e il computerino con i Watt in bella vista sul manubrio. Sempre a sedere e raramente in piedi. La voglia di stupire come una pesante valigia affidata ai giornalisti prima di partire. La grinta celata in gola, e l’attesa diffusa negli occhi. Lucidi di sudore, grondanti di fatica e terrore di scoppiare, con quelle gocce silenziose a scrivere sull’asfalto la traettoria sbiadita dell’ennesima sfida alla gravità.
C’erano una volta gli attacchi da lontano. C’erano una volta gli scatti.

3 commenti:

  1. Come darti torto? Ma si può fermare il progresso? Hanno provato a togliere le "radioline", ma presunte o reali "ragioni di sicurezza" le hanno ripristinate. Il ciclismo dei nostri giorni è sopratutto condizionato dagli sponsor e dai direttori sportivi, che preferiscono corridori sempre sotto le luci della ribalta anche se non sono dei vincenti.
    Comunque di campioni ce ne sono pochi, e le nuove tecniche di allenamento hanno sicuramente livellato molto.
    Jonathan

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  2. io penso che abbiano molte colpe i direttori sportivi ed i team-manager che pilotano e condizionano gli atleti, ma la causa principale è che ci sono molti corridori senza personalità.

    p.s. se ti guardi bene intorno c'è anche un tuo amico (amatore) che se fatto "rovinare" da preparatori fissati con cardio e power ....

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    1. La mia è una considerazione generale... Il mondo degli amatori è totalmente estraneo da questa riflessione!

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